Resistere al cambiamento è questione di volontà?

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Che si tratti di obiettivi personali, di aspirazioni professionali o di cambiamenti a livello di sistema, la capacità di cambiare

- seppur in presenza del più grande desiderio e della più elevata motivazione – spesso rimane fuori dalla nostra portata anche se questo può sembrare assurdo.

Siamo immersi in una cultura che ci ripete, senza sconti, che se una certa cosa che vogliamo non ci accade, vuol dire che non la desideriamo abbastanza perché “Se vuoi, puoi!” Molto frustrante, direi.
In azienda questo diventa ancora più pesante giacché la famosa ‘resistenza al cambiamento’ è universalmente considerata come mancanza di volontà di cambiare. Anche qui con grande frustrazione sia per le persone, che si sentono sempre in errore, che per l’organizzazione che, evidentemente, non riesce ad essere efficace e convincente.

Queste situazioni mi hanno sempre dato da pensare, sia a livello personale che come manager in azienda perché attribuire la difficoltà di cambiare alla semplice mancanza di desiderio o volontà, mi è sempre sembrata una via troppo semplicistica e continuare a imbottire le persone di stimoli o di minacce, cosa del tutto inutile ai fini di un risultato positivo.

Ricerca sull'immunità

Fortunatamente, alcuni anni fa mi sono imbattuta negli studi di due docenti della Harvard Graduate School of Education - Robert Kegan e Lisa Lahey – e, finalmente, ho trovato un approccio al problema convincente e una strada nuova e adeguata per sostenere le persone nella realizzazione del proprio desiderio o bisogno di cambiare.

In circa trent’anni di ricerca, Kegan e Lahey, hanno costruito un corpus di studi in grado di aiutare leader e persone comuni a superare quella che, contrariamente alla credenza dominante, sembra essere per il genere umano una ‘innata’ avversione al cambiamento, un fenomeno che i due studiosi, nel loro primo volume pubblicato nel 2009 chiamano ‘immunità al cambiamento’ (immunity to change, che è anche il titolo del volume).

Secondo le ricerche dei due studiosi la resistenza al cambiamento non riflette una opposizione ad esso né è semplicemente il risultato di un'inerzia.

Quello che accade in realtà è che molte persone, anche se hanno una sincera intenzione di cambiare, stanno inconsapevolmente combattendo una battaglia interiore tra un’energia ‘produttiva’ indirizzata al cambiamento e un'energia nascosta, quella di un impegno nascosto concorrente (hidden competing commitment).

L’equilibrio dinamico che ne risulta blocca lo sforzo in ciò che sembra una resistenza, ma che è in realtà una sorta di 'immunita' al cambiamento.

Il problema, quindi, è l'incapacità di colmare il gap tra quello che sinceramente, e spesso anche appassionatamente, vogliamo e quello che siamo effettivamente capaci di fare.

Imparare come superare questa distanza è un apprendimento cruciale per gli umani del XXI secolo.
Lo scarto tra la nostra crescente comprensione del bisogno di cambiare e la coesistente mancanza di comprensione di quello che ci impedisce di farlo è, infatti, uno dei problemi principali che ci troviamo ad affrontare come persone e come organizzazioni.

Apprendimenti e mindset

Sono trascorsi circa trent’anni da quando Peter Senge pubblicando il suo volume “La quinta disciplina”, ha cominciato a parlare di ‘organizzazioni che apprendono’ e più di trentacinque da quando Donald Schön ha scritto “Il professionista riflessivo”, testo in cui sottolineava l'importanza cruciale di, letteralmente, ‘mettere testa’ a quel che si fa.

In tutto il mondo, oggi, e in ogni settore, i leader aspirano a guidare organizzazioni che apprendono e ad essere, essi stessi, capaci di riflettere in maniera efficace sulle proprie azioni e sui pensieri che ne sono il presupposto. Oggi però abbiamo ancora bisogno – sul piano sia individuale che collettivo – di passare a un ulteriore livello se vogliamo affrontare le impressionanti sfide del presente.

Scrivono a tal proposito Kegan e Lahey, rivolgendosi idealmente ai citati colleghi del MIT di Boston, che “possiamo imparare e riflettere quanto vogliamo, ma i cambiamenti che speriamo di fare – e quelli di cui abbiamo necessità – non accadranno a seguito di tutto questo imparare e riflettere se manterremo intatti i nostri modi di pensare (mindset) attuali”.

Quello che non hanno menzionato Senge e Schön, e che forse non era ancora così evidente quando loro hanno scritto, è che la mente è plastica e il suo sviluppo non termina nell’adolescenza.

Dobbiamo essere capaci di cogliere le implicazioni di questa scoperta decisiva, dal momento che stiamo ancora, insistentemente, chiedendo alle persone di fare quello che, semplicemente, non ‘sono in grado’ di fare e non sono state preparate a fare.

Radiografie del nostro mindset


Per consentirci di comprendere meglio la loro teoria, Kegan e Lahey utilizzano una metafora medica, quella del funzionamento del sistema immunitario. La prima cosa che comprendiamo, attraverso questa metafora, è che il fenomeno dell'immunità non è in sé una cosa cattiva, al contrario un sistema immunitario è, il più delle volte, un'ottima cosa, una forza straordinariamente intelligente che, in maniera raffinata agisce per proteggerci, per salvare la nostra vita.

Ogni immunità al cambiamento, quindi, può essere vista come una risorsa. È una grande fonte di forza per quella determinata persona e le consente di mantenersi in buona salute anche a fronte a pressioni esterne o interne che potrebbero avere un impatto negativo su di essa.

In alcune circostanze, però, un sistema immunitario può mettere a repentaglio la nostra sopravvivenza impedendoci di continuare a godere di buona salute. Questo accade quando rigetta nuovi materiali interni o esterni al corpo e dei quali, invece, quel corpo ha bisogno per curare se stesso o per stare meglio. In questi casi il sistema immunitario non è più focalizzato sul proteggerci ma, anzi, si autoconduce a commettere un errore non capendo che deve cambiare il suo codice interpretativo, ovvero quando non si accorge che, paradossalmente, lavorando per proteggerci ci sta mettendo in una condizione di grave rischio.

Con il loro metodo "Immunity to change", Robert Kegan e Lisa Lahey hanno guidato una generazione di leader a superare le barriere, a trovare nuove soluzioni e ad abbracciare il cambiamento che vogliono realizzare.

Sulla base di 30 anni di ricerca sullo sviluppo degli adulti, l'”Immunity to Change” si rivela potentemente come "un modo per aiutare le persone a fare una specie di radiografia mentale, un'immagine del proprio mindset" - come ha detto lo stesso Kegan - permettendo agli individui di vedere "i modi in cui il vostro sistema mentale può essere effettivamente, in qualche modo, capace di commettere errori o distorsioni che vi impediscono di lasciar entrare nella vostra testa nuove idee che di fatto possono permettervi di cambiare il vostro comportamento".

Il cambiamento spesso fallisce perché le persone si concentrano solo sul proprio comportamento, ma la maggior parte degli sforzi per compierlo richiede sia adattamenti tecnici - modifiche al set di abilità di una persona - sia cambiamenti adattivi della mentalità di quella persona, sostengono Kegan e Lahey. La maggior parte dello sviluppo professionale offre solo l'acquisizione di competenze tecniche, anche nel caso in cui queste siano legate a nuovi comportamenti.

"L'approccio Immunity to change è unico nel suo genere, in quanto si concentra esclusivamente sulla trasformazione del ‘modo di pensare’ consentendo di aiutare la persona ad affrontare le sfide adattive", ha detto Lahey. "La trasformazione del nostro mindset richiede l’individuazione dei nostri punti ciechi (blind spot), il loro superamento, il portare alla luce i nostri impegni nascosti concorrenti (hidden committment) e la liberazione da presupposti di pensiero (assumption) limitanti".

Le sfide adattive, infatti, richiedono di più rispetto al 'semplice' integrare nuove o più sofisticate conoscenze nei nostri modelli mentali esistenti. Richiedono un livello di crescita o di complessità più profondo. Comportano "nuovi mezzi di percezione" - noi stessi abbiamo bisogno di adattarci.

Lo strumento centrale, prioritario, proposto da Kegan e Lahey è l‘immunity map’, ovvero il tool per costruire quella sorta di ‘radiografia’ del proprio modo di pensare rispetto a un cambiamento che si voglia realizzare.

Si tratta di un breve percorso individuale strutturato in grado di guidare la persona nell'identificazione dello specifico cambiamento che vuole realizzare e nella scoperta del ‘perché’ non riesce a farlo. Una volta portate alla luce le convinzioni - comunque costruitesi - che ci impediscono di cambiare, diventa possibile identificare le piccole modifiche progressive da compiere, giorno dopo giorno, nei nostri comportamenti per ottenerne il cambiamento.

Delicatamente, di successo in successo, scoprendo che quelle novità non ci ‘fanno male’ ma anzi ci consentono di mantenerci in buona salute e di vivere meglio, il nostro mindset cambierà e sarà in grado di sostenerci nella sfida adattiva che stiamo affrontando.
 


 

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