Medical humanities

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Nel secolo scorso si è sviluppato – anzitutto negli Stati Uniti, in seguito anche in Europa – un ambito di ricerca e di riflessione, che ha preso il nome di Medical Humanities,

e che ha iniziato nel secondo dopoguerra – prima nei Paesi anglosassoni, poi in Spagna e solo recentemente anche in Italia – a influenzare la formazione dei medici e, in generale, di tutti i caregiver, nonché quella dei pazienti.

Le Medical Humanities promuovono l’incontro tra le scienze naturali e le scienze umane, nell’intento di rianimare il dialogo tra i due campi, per costruire una trama di sensi comuni che possano trarre dalla diversità delle esperienze e dalla loro complessità e ricchezza indicazioni preziose per la formazione degli operatori sanitari e più in generale delle persone.

Nel modello tradizionale dell’etica medica e della buona medicina a un medico, che in scienza e coscienza s’impegna a mettere in campo tutte le conoscenze e le risorse terapeutiche di cui dispone per fare il bene del suo paziente, corrisponde un paziente docile e osservante le prescrizioni mediche, che si consegna fiducioso. Questo modello, che prevede un’alleanza terapeutica basata su una sostanziale diseguaglianza e su un atteggiamento di paternalismo benevolo e protettivo da parte del medico, continua ancora oggi a influenzare in modo tenace la relazione terapeutica e i comportamenti tanto dei medici quanto dei pazienti.

Negli ultimi vent’anni tuttavia il paradigma etico della buona medicina ha subito delle trasformazioni radicali. Il principio-guida di queste trasformazioni è l’autonomia del paziente, dalla quale deriva il diritto all’informazione, alla condivisione delle decisioni, all’assunzione di responsabilità nelle scelte terapeutiche.

Il nuovo paradigma richiede l’acquisizione di una consapevolezza diversa sia da parte del medico che da parte del paziente, una consapevolezza che va opportunamente educata perché possa tradursi in qualità della relazione terapeutica.

Dalle Medical Humanities ci aspettiamo una correzione di rotta che ridia slancio all’incontro tra cultura umanistica e cultura scientifica. Le Medical Humanities, infatti, coltivano un sogno di ampio respiro: una medicina che sappia curare e prendersi cura, assicurare cure efficaci dal punto di vista biologico, ma anche rispettose di tutta la molteplicità dei bisogni umani. Le Medical Humanities, inoltre, non si limitano a quanto la medicina può offrire per la guarigione, ma sono rilevanti rispetto a ogni forma di servizio alla salute: dalla psicoterapia al servizio sociale, dalla prevenzione alla medicina di comunità. Non si rivolgono, quindi, solo ai medici, ma a tutti gli operatori della salute (sarebbe più corretto parlare di Health Professionals Humanities).

Singole discipline hanno portato un contributo significativo a questo progetto globale. Basti pensare alla psicologia e alla sociologia (che hanno sviluppato sottospecialità riferite alla salute), alla filosofia della scienza, all’antropologia culturale e ovviamente all’etica (bioetica). Ma il progetto complessivo che si sviluppa sotto il segno delle Medical Humanities non si accontenta di acquisizioni settoriali. È necessario tenere insieme e lasciar dialogare l’insieme dei saperi e delle discipline, nella convinzione che il tutto è più della somma delle parti. Inoltre non bisogna trascurare che nelle Medical Humanities non sono incluse solo le scienze umane, in quanto contrapposte alle scienze della natura, ma anche il contributo che a una pratica più completa della medicina può venire dalla letteratura e dalle arti espressive (pittura, musica, ecc.).

Promuovere un confronto sistematico tra le pratiche di cura e assistenza ai malati e l’apporto delle Medical Humanities significa, quindi, interrogarsi sulle possibilità di arricchire la pratiche sanitarie grazie all’integrazione di istanze umanistiche, che accrescano la consapevolezza della complessità dei percorsi di cura e di assistenza e migliorino le competenze relazionali degli operatori e per conseguenza la qualità dei servizi.

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