Prima di misurare la performance

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Viviamo tempi particolari.
In molti casi abbiamo dovuto ripensare il lavoro,

il suo spazio di ingerenza nelle nostre vite, le nostre relazioni con collegh* e cap*, i ritmi e i tempi dell'esecuzione e della gestione delle relazioni.

Lavorare insieme senza essere fisicamente insieme ha imposto assestamenti e l'acquisizione di nuove abitudini.
In questa situazione, misurare le performance personali ha richiesto di adottare ‘modi’ diversi legati all'impossibilità di misurare il tempo effettivo di svolgimento delle attività e di verificare in tempo reale le azioni.

Nella logica dell'antifragilità, pensiamo che tutto questo, lungi dall'essere un problema da affrontare, sia una straordinaria opportunità per ripensare i modelli di valutazione delle performance.
Da questa posizione, ciò che a un primo sguardo sembra una forzatura da accettare, diventa – invece - una palestra per allenare nuovi modi di guardare alle persone e al loro contributo nell'organizzazione.

Volendo semplificare e schematizzare, possiamo identificare due cambi di prospettiva e due aree di sperimentazione.

Da tempo a risultati

Un primo cambio di prospettiva riguarda l'uso del tempo e i relativi risultati.
E se invece di sorvegliare le ore effettivamente lavorate dal collaboratore, magari con riunioni fissate a inizio mattina o dopo pranzo, si valutasse la qualità del lavoro svolto nel tempo dedicato?
E se invece di controllare il pedissequo rispetto dell'ordine di servizio da parte della collaboratrice la si lasciasse libera di organizzare il lavoro secondo i propri momenti di massima e minima resa?
Si potrebbe scoprire come questa libertà ‘concessa’ loro si tramuti in maggiore efficacia, non necessariamente a scapito dell’efficienza, proprio in virtù del maggiore senso di responsabilità determinato dalla mancanza di controllo.
Ricevere fiducia - anche indirettamente tramite la riduzione del controllo - accresce nelle persone il senso di sicurezza in sé così come quello di responsabilità verso chi ha dato loro fiducia.
Acquisita questa nuova abitudine, non sarà difficile mantenerla anche quando, trovandosi fisicamente nello stesso luogo, il controllo degli orari e dell'ordine di svolgimento dei compiti non sarebbe complicato. Semplicemente, non sarà più necessario.
Le persone non verranno più valutate sul tempo di lavoro ma sulla quantità e qualità del lavoro svolto nel tempo dato e - perciò - sull'effettivo beneficio prodotto per l'organizzazione.

Da specializzazione a contaminazione

La remotizzazione del lavoro consente di sperimentare forme di ibridazione tra persone e gruppi con competenze differenti.
Non essendo necessario spostare fisicamente le persone, è possibile creare gruppi di lavoro i cui membri si contaminano reciprocamente arricchendosi l'un l'altro e sviluppando prospettive invisibili a un gruppo omogeneo.
Per chi ricordi il modello olivettiano degli anni '50 del secolo scorso, niente di nuovo all'orizzonte.
Sfortunatamente, quell’esperienza, nonostante il suo successo, non ha (ancora) trovato larga applicazione nelle imprese italiane, se non raramente e - paradossalmente - in organizzazioni ad alta specializzazione come quelle del settore digitale e tecnologico.
Persone con formazione ed esperienze diverse, hanno abitudini, prospettive e punti di vista differenti.
L'incontro costruttivo tra queste diversità, se correttamente guidato e facilitato, è un potente acceleratore di innovazione, capacità già essenziale per le organizzazioni e oggi sempre più strategica.

Flessibilità personale

Queste contaminazioni si dimostrano anche un valido strumento per misurare la flessibilità personale di collaboratrici e collaboratori.
In un'economia sempre più globale, con mercati in continuo movimento, è quanto mai importante per le organizzazioni poter contare su persone flessibili, pronte a ripensare ruoli e funzioni, disponibili a imparare cose nuove e disimparare vecchie abitudini non più coerenti con l'evoluzione dell'organizzazione.

Si tratta di sperimentare, di assumersi il rischio di sbagliare così come di trionfare.
Ma il rischio - seppure calibrato e non avventato - è una componente essenziale dell'impresa così come, ancora una volta, dell'innovazione.

Le persone sono spesso più aperte al cambiamento di quanto immaginiamo. A volte la loro apparente mancanza di iniziativa è più dettata dall'ambiente che da un reale desiderio di immobilità.
Creando un ambiente aperto e mobile, dove ciascun* senta la libertà di avanzare proposte senza temere il giudizio, si potrebbe scoprire che sotto la cenere di fuochi che sembrano spenti, ardono in realtà braci. Alimentarle oggi rappresenta una preziosa risorsa per mantenere in vita l'organizzazione, contando su ciò che è già all'interno.
Domani potrà rivelarsi volano di successo.

La vera ambizione

Siamo sicur* che tutte le persone nelle nostre organizzazioni siano nel posto migliore per sé e per l'organizzazione stessa?
Il processo di selezione si basa, generalmente, su titoli ed esperienze pregresse.
Ciò genera un circolo vizioso all'interno del quale la persona fatica a liberarsi della propria scelta originaria.
Ma le persone crescono, cambiano e, in questo processo, cambiano anche i propri desideri e le proprie ambizioni professionali.
Ignorare questa normale evoluzione significa rinunciare a una potenziale risorsa.
Indagare quale sia la vera ambizione della propria collaboratrice o le mutate esigenze personali del collaboratore, supportarl* nell'integrazione delle competenze necessarie al nuovo ruolo, significa avere persone più motivate e fidelizzate e perciò più efficaci ed efficienti; oltre che competenze multiple, e quindi fungibili, secondo le esigenze dell'organizzazione.
Potremmo scoprire che lo scarso rendimento di qualcun* forse era frutto di frustrazione e noia più che di cattiva volontà e così ottenere un innalzamento delle performance senza l'esigenza di ulteriori stimoli (punitivi o incentivanti).


L'organizzazione può e deve misurare le performance delle proprie persone.
E deve stimolarne la crescita. Quali stimoli usare è una scelta: i vecchi incentivi (fondati sostanzialmente su compensi economici) oltre a essere difficilmente sostenibili per molte PMI, hanno dimostrato un'efficacia incerta sia dal punto di vista quantitativo (la rilevanza dell'incentivo è soggettiva) sia dal punto di vista temporale (nel lungo periodo, i soldi smettono di essere una leva).
Valorizzare le persone, prima e oltre il loro ruolo e le funzioni, vuol dire stringere un patto di crescita e soddisfazione, reciprocamente alimentate, che potenzialmente può non terminare mai.
 
 

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